
Il logo diventa identità, simbolo, “moltiplicatore di valore”, come lo definisce Giampaolo Fabris, cavalcando la svecchiata anima dei moderni surrogati imprenditoriali, le multinazionali. Sono loro il baricentro del nuovo sistema economico, loro a dettare il passo della nuova concorrenza. Una data è significativa per comprendere il mutamento, il 2 aprile 1993, il venerdì “Malboro”. Per rendere la produzione più competitiva la società statunitense abbassa del 20% il prezzo delle sue sigarette. E’ il crollo in borsa di tutti le grandi griffe e degli investimenti pubblicitari che scivolano sulla buccia di banana della “svalutazione” del marchio. Per non farsi trascinare dalla corsa alla svendita alcune grandi società decidono di reagire puntando proprio sul valore della firma. A fare da battistrada in questa direzione il colosso dell’abbigliamento sportivo Nike, che per l’occasione sceglie un’atleta d’eccezione, un marchio vivente, Michel Jordan. Obiettivo, incarnare nel simbolo il rapporto emotivo che le persone creano nei confronti dello sport e dei loro campioni. Si definisce così la strategia dei brand più sofisticati, espandersi nella cultura per conquistarla, rivolgendosi a tutto ciò che è nuovo, ‘cool’, giovane, marginale. Non solo. Nella corsa all’oro la promozione del logo è importante tanto quanto sbaragliare la concorrenza e rimanere soli a giocare in campo. Mettere alle strette l’avversario significa, anche in questo caso, attuare strategie: guerra dei prezzi (Wal Mart), saturazione dei punti vendita (Mac Donald’s), creazione di megastore (Ikea). L’emozione sottende la logica, e quella delle multinazionali è ovviamente il profitto. Produzione e forza lavoro, come in ogni secolo a braccetto, diventano ancor più interconnesse nello scenario della moderna ‘piazza’ mondiale. Alla ricerca di manodopera ‘scontata’ i paesi in via di sviluppo diventano la meta preferita delle grandi aziende attratte da salari bassi, scarsi controlli, e soprattutto, rendita massima. Risparmiare, abbattere i costi, dislocare, appaltare, diventano i must della nuova produzione globale.Così la pagina buia della globalizzazione battezza il nuovo sfruttamento incontrollato, con condizioni di vita ridotte al minimo, in un rapporto asimmetrico tra ricchezza e povertà dai risvolti paradossali, come la dicotomia inscindibile di un nuovo colonialismo.
2 commenti:
di grande utilità
grazie
utilissimo
grazie!!
Posta un commento