martedì 13 luglio 2010

ATTENTI A QUEI DUE, ABS E CDO ALLA GENESI DELLA CRISI ECONOMICA MONDIALE

Passato lo tsunami, il vento della crisi sembra non voler abbandonare i mercati finanziari. Con la Grecia in coma per lo squilibrio dei conti pubblici, l’effetto domino di una ricaduta continua ad aleggiare sull’intera Europa, gettando anche oltreoceano il seme della discordia di un possibile riflusso. Varato dall’Ue il piano ‘salva euro’, la lezione sulla regulation torna di moda. E al grido regole, regole, regole, sembrano essere richiamate dall’oltretomba le vittime eccellenti della grande bolla del 2007, Lehman Brothers in testa.




A forgiare infatti la più grave recessione dei tempi moderni, che per catastrofismo ricorda solo quella del 1929, proprio quell’assenza di controlli ed eccesso di speculazione che il capitalismo ‘perfetto’ non era riuscito a frenare. A farne le spese banche e istituti di credito di mezzo pianeta, invaghiti dall’inarrestabile fiducia del mercato. Risultato: miliardi di dollari in fumo e grandi istituzioni finanziarie mondiali, come Banca centrale europea e Fed, trovatisi a immettere liquidità nel sistema bancario, per evitare il peggio. A cimentarsi nel fallimento, infatti, non solo sprovveduti bancari, ma ‘solidi’ istituti che il credit crunch, senza i soldi dell’erario, avrebbe condotto sicuramente al collasso, con scenari da film hollywoodiano. Ironia della sorte, il mito delle banche tentacolari, dopo la grande bolla, non si è affatto smorzato, anzi, ha generato nuovi mostri ancora più pericolosi: “banche troppo grandi per fallire”, con il rischio, di alimentare “distorsioni di un sistema in cui i profitti sono privati e le perdite sono pubbliche” come sottolinea il rettore dell’università Bocconi Guido Tabellini. Ma cosa c’è stato alla genesi della crisi? In sintesi si potrebbe parlare di fiducia eccessiva, mista ad eccessiva avidità, quella stessa che John Keynes soleva definire un ‘animal spirit’ da controllare con l’educazione e la cultura. Confusa forse dall’11 settembre, l’economia statunitense, dimentica dell’una e dell’altra, è stata invece pervasa da una sorta di sindrome da ‘cartolarizzazione’, ossia, la tendenza delle banche a vendere i propri rischi di credito in credito trasformato in titoli. Favorita dalla Fed la tendenza all’indebitamento delle famiglie americane, con l’immissione di liquidità illimitata a ‘costo zero’, per rilanciare consumi ed economia, gli istituti finanziari, dal canto loro, ‘penalizzati’ dai bassi tassi d’interesse, hanno rincorso l’alchimia per convertire derivati dalla rendita stabile in vero e proprio oro. Il primo passaggio era stata la creazione degli Abs, mutui immobiliari trasformati in titoli obbligazionari, collocati appunto tramite cartolarizzazioni sul mercato. Step iniziale per l’ingegneria finanziaria che di lì a breve avrebbe compiuto un altro passo. Gli stessi titoli cartolarizzati, originati dai mutui immobiliari e raggruppati con titoli derivanti da altre attività soggette ad alto rischio d’insolvenza, ad esempio i mutui subprime, avrebbero dato infatti, a loro volta, vita ai Cdo, meglio noti come titoli salsiccia, per la loro caratteristica di poter essere tagliati e venduti a “fette”, a seconda dei rischi e dei tassi d’interesse. Naturalmente, a curarne l’emissione le stesse banche, mascherate da apposite società cui venivano cedute le attività in garanzia e i conti in rosso del fuori bilancio. Nel terzo round ulteriore evoluzione, i Cdo assumono vita propria. Con Cdo che contengono solo Cdo o Cdo utilizzati come garanzie di altri prestiti. E il meccanismo è tale che nessuno, alla fine, sa più cosa ci sia dentro quella ‘salsiccia’. Neanche le stesse agenzie di rating, che, infatti, hanno dato a molti Cdo la tripla A della massima affidabilità. Nel 2007, complice la forte inflazione, quando un americano di troppo ha deciso di non rimborsare il suo mutuo, o di rimborsare i prestiti meno di quanto previsto, Abs e Cdo sono diventati carta straccia, e con i fondi delle banche dichiarati insolvibili la bolla scoppiata ha fatto esplodere con se anche la più irrazionale delle teorie economiche: “un’economia - come osserva l’economista statunitense Paul Krugman - in cui gli individui razionali interagiscono in mercati perfetti”. Ma se il meccanismo è imperfetto, ovunque torbido, è davvero possibile avere ancora fiducia nel mercato? Sibillina l’osservazione di Tabellini “senza interventi radicali saremo presto investiti da un’altra crisi”.

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