martedì 13 luglio 2010

DOPO LA “GRANDE CRISI” LA “GRANDE FAME”, DAL 2009 SENZA CIBO 1 MILIARDO DI PERSONE

Il gemito degli affamati è un rantolo sordo, Fao o no che si rispetti. Raggiunti storici livelli, un miliardo di persone a rischio malnutrizione, le stime dell’organizzazione mondiale per il cibo e l’agricoltura sono la nota stonata del savoir faire, più un laissez faire a dir la verità, dell’attivismo di governi e istituzioni votate alla lotta contro la sottoalimentazione.




Nel 2009, dopo la “grande crisi”, a colpire è arrivata anche la “grande fame”. Il cordone della sicurezza alimentare si stringe ancora una volta attorno ai paesi in via di sviluppo, nei quali è concentrata la quasi totalità della popolazione carente di cibo. Asia e Pacifico contano 642 milioni di affamati, l'Africa sub sahariana 265 milioni, in America Latina e Caraibi le cifre si ‘abbassano’ a 53 milioni, nel Vicino Oriente e Nord Africa a 42 milioni. Nei paesi sviluppati gli indigenti toccano invece i 15 milioni. Causa recessione, in queste regioni i trasferimenti monetari degli emigrati sono diminuiti drasticamente, insieme ai fondi dell'assistenza allo sviluppo e degli investimenti esteri, con conseguenze da un lato sulla produzione e dall'altro sulla sicurezza e la protezione sociale. Una recrudescenza, spiega Jan Ziegler, ex relatore speciale dell’Onu sul cibo, trascinata soprattutto da due fattori:“la speculazione sui beni di alimentazione primaria, che ha fatto crescere i prezzi dei cereali di base fino all’83%” e “la produzione dei biocarburanti”. “Per un pieno di 50 litri di bioetanolo”, sottolinea, “bisogna bruciare 350 chili di mais”, una quantità tale che permetterebbe a un bimbo dello Amabia o del Messico di vivere per un anno. E mentre un quarto di tutta la raccolta cerealicola annuale del mondo viene utilizzata per nutrire i buoi dei paesi ricchi, è la stessa Fao a sostenere che l’agricoltura sarebbe in grado di soddisfare il fabbisogno alimentare di 12 miliardi di persone, poco meno del doppio, dei quasi 6 miliardi e 800 milioni di abitanti della terra. Da qui al 2015 moriranno di fame, invece, 400 mila bambini in più all’anno, mentre altri 12 milioni, secondo le statistiche, sono vittime, già oggi, di malattie scongiurate, come dissenteria e morbillo, o curabili, come polmonite, malaria e tubercolosi. Un capitolo a parte, i fondi, sono la pioggia sul bagnato della miseria. La crisi li ha tranciati quasi del tutto, nonostante le promesse di organismi come il G8. Anche gli stati, però, latitano di esempi virtuosi. Tra i “donatori” proprio l'Italia è terzultima su 22 paesi avanzati, peggio di noi soltanto Grecia e Usa. A rivelarsi inefficaci, inoltre, gli aiuti umanitari, talora dannosi, quando inutili eccedenze, minando i mercati di destinazione, hanno addirittura tagliato fuori dal commercio gli stessi produttori locali.

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